No, le ragazze non stanno bene: la situazione delle wrestler in AEW

Ammetto di aver pensando a lungo se scrivere o meno un articolo sulla All Elite Wrestling, perché avevo questa voglia di parlarne dato che ormai è un anno che ho iniziato a seguire la compagnia di Jacksonville e un’idea bene o male me la sono fatta. Inizialmente volevo parlare del torneo in memoria di Owen Hart, ma poi mi sono detta ‘perché limitarmi a quello?’.

Così ho deciso di prendere anche spunto dal torneo e da quello che in realtà è successo e sta succedendo ultimamente in AEW per quanto riguarda ovviamente la parte femminile, e parlarne un po’.

Prima d’iniziare però, ci tengo a precisare che questo articolo, come la maggior parte degli articoli che vi porto sul blog, vuole darvi il mio punto di vista cercando di farvi vedere le cose sotto una luce diversa che magari non avete considerato, non ho la pretesa di avere la verità in tasca. Il rispetto delle opinioni e dei punti di vista è fondamentale nel lavoro che svolgo, ma anche quando parlo da semplice appassionata, perché mi fa piacere avere uno scambio di opinioni pacifico ed educato con gli altri nel rispetto altrui e perché credo sia bello scambiarsi opinioni ed imparare qualcosa di nuovo. 

Tutta questione di oscurità

Prima di tutto voglio brevemente dire che sono una di quelle persone che non apprezza per niente quello che viene offerto dalla AEW per i suoi due show su YouTube, ovvero Dark e Dark Elevation. Questi show sono lì solo per alzare il ranking, meccanismo che personalmente non digerisco, e dalla parte più positiva servono per mettere in mostra atleti anche free agent che possono essere notati dalla AEW e da altre compagnie e messi sotto contratto. Però allora io mi chiedo: perché non tenerli solo per questo ultimo scopo citato?

Cerco di spiegarmi meglio. La WWE ad esempio ha NXT Level Up, che okay, comprende solo gli atleti rookie che sono già sotto contratto con la compagnia e devono farsi le ossa, però non è un concetto sbagliato, e l’AEW potrebbe tranquillamente riprenderlo a suo modo proprio dedicando Dark e Dark Elevation ai più giovani, togliendo il concetto di ranking, che tra l’altro spesso è traballante e confusionario, lasciando che siano i free agent anche ad esibirsi se hanno bisogno di spazio.

Il fatto che invece i due show vengano usati anche per difese titolate… no, proprio no. Ora io ovviamente vi porto un esempio sul wrestling femminile, ma è capitato anche agli uomini: Mercedes Martinez ha, al momento della stesura dell’articolo, difeso già tre volte il suo titolo di campionessa della Ring Of Honor. E ora voi direte: “Sì, ma non è un titolo della AEW”, e avete anche ragione, ma comunque la compagnia appartiene a Tony Khan, che dovrebbe, invece di mettere in ombra i suoi atleti di lì, valorizzarla cercando di lavorarci in modo intelligente, ma ho come la sensazione che abbia comprato il giocattolo rotto perché comunque gli faceva gola, ma che alla fine della fiera non sa come aggiustarlo, anche perché se non avesse voluto mischiare le due compagnie non avrebbe portato i campioni della ROH negli show settimanali AEW e non avrebbe fatto in una recente intervista il discorso di regalare alla Ring Of Honor più spazio appena possibile. E, sempre in quell’intervista, ha anche detto che ci sono stati dei fans che hanno domandato se avremo mai visto delle difese titolate nei due show su YouTube, quasi come a dire che sono i fans che hanno chiesto di fare questa cosa, ma onestamente dubito fortemente che sia così. Ma, escluso questo, è davvero una gestione che lascia tanti dubbi, perché a questo punto mi viene da chiedere: perché allora non difenderci anche i titoli massimi AEW? O tutto o niente, altrimenti si gioca al gioco di metterci gli “scarti” e non vuoi realmente mescolare i due roster e portarli davvero in tutti gli show con o senza cintura.

Ma, oltre il concetto dei titoli, sempre perché nel loro meccanismo serve tutto per alzare il ranking, anche persone come Ruby Soho sono sparite finendo su Dark e Dark Elevation, persone che invece avrebbero bisogno di stare di settimana in settimana negli show principali nel bel mezzo di storyline che contano davvero. Ma potrei citare anche Hikaru Shida, per ora la campionessa più longeva in AEW, che subito dopo aver perso il titolo è rimasta per svariato tempo a Dark.

Un altro problema è la discontinuità e la confusione nella logica del ranking, perché ad esempio, di recente, Marina Shafir, quinta in classifica, è finita a sfidare Thunder Rosa per il titolo, quindi neanche la compagnia stessa rispetta tali classifiche. Per non parlare del fatto che se continui a costruire le stesse wrestler mandandole sempre over, gira che ti rigira avrai sempre le stesse avversarie per le campionesse ad un certo punto e la cosa risulta stancante, come quando Nyla Rose è SEMPRE la prima sfidante di chi diventa campionessa.

E questo mi porta anche a concordare con Renee Paquette, che di recente nel suo podcast ha detto che, pur adorando Britt Baker, l’AEW fatica a costruire wrestler che siano delle star e abbiano molto talento, solo per metterla costantemente più in alto di tutte (qui il link della traduzione delle sue parole). Cosa che tra l’altro aveva detto anche Lita durante un’intervista, affermando che per un certo periodo di tempo la divisione femminile AEW era un one-person show e quella persona era proprio Britt Baker.

È giusto favorire quello che hai creato?

Prima di parlare di questo argomento, ci tengo a precisare che so che farò magari nomi di qualcuno che non è al 100% una creazione AEW, però diciamo che ha fatto talmente poco nelle occasioni che ha avuto prima che è considerabile come wrestler modellata dalla compagnia per farla diventare qualcuno.

In ogni caso, l’ultima frase che ho scritto ci porta a parlare del fatto che l’AEW nel suo roster ha tanti ex wrestler WWE, cosa che personalmente non mi crea nessun problema, alla fine è normale che si spostino nelle compagnie più in vista, e se sei un ottimo atleta è giusto che trovi un posto in evidenza che ti paghi anche bene, però a volte diventa difficile non vedere come vengono trattati gli atleti che sono stati tirati su dall’AEW e quelli che invece magari erano nelle indies, ma che la WWE ha reso delle vere e proprie star prima di rilasciarli, o quelli che vengono direttamente dalla WWE. 

Se devo dire la mia, anche qui, non ci vedo niente di male nel voler valorizzare una tua creatura, come la WWE alla fine ha fatto con Charlotte Flair ad esempio, che ha creato da zero e reso una delle più grandi Superstars nel panorama del professional wrestling. Però forse questo discorso trova un limite, ovvero quello del passare del tempo, perché più andiamo avanti e più le cose cambiano e sempre più wrestler, che non sono nati quando è nata la tua compagnia, arriveranno e bisogna trovare un equilibrio. 

Sto apprezzando tantissimo, e forse per qualcuno la cosa ha dell’assurdo, la costruzione che stanno facendo con Jade Cargill, perché anche se è green sul ring è innegabile quanto sia una personalità che nel wrestling funziona al mille per cento; in generale, questa cosa delle Baddies funziona, punto. E inoltre è un grosso investimento per l’AEW perché la compagnia ci punta sotto tanti punti vista, lo capiamo anche dal fatto che le hanno affiancato Bryan Danielson per migliorare sul ring, non il primo che passava per strada, cosa assolutamente importante.

Per Britt Baker il discorso è simile, ho apprezzato il fatto che Tony Khan abbia creduto così tanto in lei da darle opportunità su opportunità, perché la gente la ama, la tifa anche quando dovrebbe fischiarla, però qualcosa non va, qualcosa manca. Renee Paquette ha ragione, è tutto troppo su di lei, sulle sue spalle e questo è un errore enorme per me perché non puoi prendere una situazione e caricarla sulle spalle di una sola persona, devi distribuirla, esattamente come la WWE ha fatto con le Four Horsewomen; certo, devi avere anche la fortuna di trovare un tot di atlete così, ma non vuol dire che tu non possa prendere quel diamante grezzo e trasformarlo in qualcosa di splendido e raffinato, ma c’è sicuramente bisogno di tanto amore, lavoro e impegno.

Serve un luogo dove far pratica

E indovinate come si fa tutto quello scritto appena qui sopra? Esatto, con la pratica. La WWE sarà anche piena di difetti di booking quando arriviamo al prodotto finale, ma se c’è qualcosa di bello alla base, che aiuta i wrestler a migliorare per poi essere lanciati, è il Performance Center. Un luogo come il Performance Center è fondamentale per la crescita dei tuoi talenti, sia a livello di lottato che di promo. Io consiglio sempre la visione del documentario sulla Florida Championship Wrestling disponibile sul WWE Network dal titolo “A Future WWE: The FCW Story”, giusto per rendersi conto che lavoro assurdo c’è dietro anche solo la costruzione di un piccolo promo.

Io capisco che Britt Baker sia presa da tutto e che per lei sia normale dire che Dynamite è stato il suo Performance Center, però è palese che la mancanza di preparazione sotto certi punti di vista (perché manca proprio la pratica) sia un enorme difetto nel prodotto che ci viene proposto sui ring AEW. Davvero, io mi chiedo come sia possibile, prendendo da esempio Red Velvet, ostinarsi così tanto a fare lo Standing Moonsault quando 99 su 100 lo sbagli, e lì è questione di pratica, perché la mobilità sul ring c’è, l’elevazione c’è, ma manca l’occhio che prende le misure. Anche dalla parte maschile vedo un sacco di errori, di colpi presi e dati male e non va bene, lo dico per la salute dei wrestler, perché io apprezzo che siano la fuori a mettere a rischio la propria vita per intrattenermi, ma i rischi vorrei che un minimo fossero limitati. Se in un match di cinque minuti o dieci minuti, su 30 mosse vedo 15 botch, non so davvero come reagire se non rimanerci male, per me stessa che non mi godo quello che vedo e per i wrestler che ci fanno brutta figura e rischiano l’infortunio o peggio. Stesso discorso per i promo: alcuni mi lasciano davvero senza parole da quanto siano poveri dal punto di vista della recitazione. 

Io davvero sono una di quelle persone super positive, cerco sempre di vedere i miglioramenti e il buono nel lottato di qualcuno, l’ho anche detto di recente che si vede che Jade Cargill è migliorata, ma secondo me si potrebbe fare di più. E diamoglielo un posto pieno di ring e coach a questi wrestler, un posto dove possono lavorare per migliorarsi e divertirsi con la propria passione. Io sono stanca di sentire dire a Tony Khan: “Eh ma X e Y backstage sono gentilissimi, fermano i wrestler dopo i match e gli danno consigli su cosa migliorare”. Ma allora create uno spazio adatto dove dare consigli e metterli in pratica più e più volte per arrivare in puntata pronti, secondo me può essere una soddisfazione per tutte le persone coinvolte. Ad esempio, se vogliamo parlare dal lato femminile, Serena Deeb fa sempre un sacco di seminari e ha detto che ama aiutare i giovani wrestler ad imparare e sta facendo già un po’ da coach. Cavolo, hai Serena Deeb, lasciale una palestra, un ring, 20 atleti e vedrai come migliorano.

Io vi metto a paragone ad esempio Bianca Belair e Jade Cargill, e prendo loro due perché sono state scoperte dalla stessa persona, ovvero Mark Henry, perché hanno avuto un percorso simile nell’avvicinarsi al wrestling e perché hanno uno stile di lottato praticamente uguale, ovvero uno stile molto potente che si basa sui muscoli. Una ha un passato in diversi sport come l’atletica e il sollevamento pesi, l’altra è un’ex giocatrice di basket, quindi nessuna delle due si è messa a lavorare fin da giovane per essere una wrestler. Ora, io penso che non sia mai troppo tardi per fare le cose se davvero lo vogliamo, e chi per un verso e chi per l’altro, stanno funzionando entrambe nel mondo del professional wrestling. Se però una persona dovesse chiedermi, e questo è un mio punto di vista personale, quale sia la differenza più grande tra le due direi indubbiamente il talento sul ring: per come la vedo io, questa cosa dipende soprattutto dal fatto che colei che ha scelto la WWE, ovvero Bianca Belair, è stata presa dal suo sport, messa al Performance Center e allenata per diventare una wrestler; l’altra, che ha scelto l’AEW e non la WWE (perché sì, Jade Cargill ha fatto un provino anche con la WWE) è stata notata, soprattutto dal punto di vista fisico e le è stato proposto di lottare con pochissima preparazione arrivando poi a tamponare successivamente le cose con Bryan Danielson mentre era già campionessa e nel pieno del suo push. Non potete venire a dirmi che i risultati di questa cosa non si vedono, perché si sono visti, chiunque ha criticato Jade Cargill per il suo essere green sul ring. Certo, Bianca Belair non è perfetta, però per adesso il distacco è ampio tra le due.

Inoltre vi aggiungo un piccolo fatto su un progetto nato di recente strettamente legato all’esempio che vi ho fatto adesso, ovvero il WWE NIL Program, un programma che serve a reclutare atleti del college per poi formarli per diventare di wrestler. Magari su 100 ce la fanno solo in 20, non sono qui a dire che tutti siano portati o che sia possibile allenarli tutti, però mi sembra un’ottima opportunità e un buon modo di dare anche una possibilità a questi ragazzi in un campo lavorativo o anche solo per fargli capire cosa desiderano fare, cosa vogliono dalla loro vita e dalla loro carriera. Alla fine è un investimento non da poco che la compagnia decide di fare.

Problemi di tempo e spazio

Nel corso di questo anno, mi sono trovata spesso a parlare con alcuni di voi del poco spazio che viene riservato alle donne AEW negli show settimanali e del minutaggio dei match, quindi mi sono messa a fare le mie ricerche per verificare il tutto, perché ci tengo anche a dare voce ai vostri pensieri.

Partendo dal minutaggio dei match, confrontando i dati che ho reperito facilmente su Internet e che coinvolgono sia la divisione femminile che quella maschile, mi sono accorta che più o meno la situazione è questa: gli uomini, se escludiamo eventuali squash, come minutaggio stanno tra gli otto e i quindici minuti, mentre le donne tra i tre e gli otto, con eccezioni che li/le portano anche sotto o sopra (N.B.: sto parlando solo degli show settimanali, non dei pay-per-view).

Quello che sicuramente può preoccupare un po’ di più è quando in una puntata settimanale viene messo in palio un titolo femminile e difeso sotto i dieci minuti, allora lì il discorso cambia e la situazione diventa abbastanza grave.

Ma questi problemi di minutaggio, ci tengo a dirlo, si estendono a tutte le compagnie, compresa la WWE, che certamente sotto questo punto di vista deve ancora fare tanta strada. Prendiamo, per fare un bel paragone che ho visto che piace tanto alle persone sui social, il Queen’s Crown Tournament e l’Owen Hart Cup Tournament. Paradossalmente, l’AEW ha dato un sacco di spazio ai match singoli del torneo rispetto che ai match che propone settimanalmente. Mentre come sappiamo la WWE ha fatto, detta onestamente, pena con il minutaggio del suo torneo. I tornei però sono una cosa particolare, fatta di tanti turni che non possono logicamente durare quindici minuti, però secondo me quando stiamo tra gli otto e i dieci minuti va bene. La WWE ha fallito in questo, mentre l’AEW no, ma ciò non toglie che settimanalmente non gestisca al meglio le tempistiche di alcuni match e non solo. In più vi ricordo che l’Owen Hart Tournament aveva il doppio dei turni rispetto al Queen’s Crown Tournament e in totale, se siete curiosi di sapere il minutaggio di entrambi, per il primo abbiamo circa una durata complessiva di 113 minuti, mentre per il secondo di 19 minuti. Altra lancia che voglio spezzare a favore della AEW è il fatto che all’interno del torneo sono riusciti a costruire delle storyline tra le donne e non hanno fatto dei match tanto per riempire un tabellone, cosa che ho apprezzato tantissimo.

Una volta analizzata la durata dei match, arriva la nota dolente: la presenza delle wrestler nelle puntate. Infatti anche qui, con i dati alla mano, possiamo vedere che, solitamente, in una puntata di Dynamite o Rampage c’è un solo match femminile, cosa già più logica nello show del venerdì che dura meno, ma meno logica in quello di punta al mercoledì, anche se fortunatamente con l’introduzione del titolo TBS qualcosina è migliorato, più che altro dal lato dei promo probabilmente, perché i match rimangono tendenzialmente due a settimana, uno per show, cosa confermata di recente anche da Dustin Rhodes. 

Il problema, anche qui riscontrabile in diverse compagnie, rimane il fatto che se non c’è di mezzo un titolo il booking team va in tilt e non riesce a costruire storyline non titolate che possano attirare l’attenzione e soprattutto, questo più che altro in AEW, invece di impegnarsi a farlo per dare più spazio alle wrestler individualmente continua a buttarne in mezzo un sacco in una stessa storyline facendo i match a tre che poi non portano vantaggi a nessuno se non ad una sola delle tre wrestler, che probabilmente sarà quella poi coinvolta nella faida titolata. In WWE più o meno per ora hanno aggiustato il tiro, infatti mi vengono in mente le storyline di recente con Naomi e Sonya, anche se poi anche quella è stata buttata a caso nella faida titolata tra Ronda e Charlotte, oppure Rhea Ripley nel Judgement Day che si è confrontata anche con Liv Morgan.

Un esempio lampante di tutto questo è la gestione di Britt Baker come campionessa, dato che per la maggior parte del suo regno titolato è risultata un po’ anonima come campionessa agli occhi di molte persone, che l’hanno vista difendere poco il titolo e fare tantissimi promo backstage, a volte anche un po’ ripetitivi. Se però siete persone che amano i dati e giustamente vogliono trarre le proprie conclusioni sulla faccenda, posso dirvi che Britt Baker nel 2021, anno in cui è diventata campionessa, ha combattuto complessivamente 26 match, rimanendo campionessa per 290 giorni e difendendo il titolo per sette volte con successo, due volte a Dynamite, una a Rampage (nel main event della prima puntata in assoluto dello show), tre in pay-per-view, una volta in uno speciale e poi lo ha perso cercando di difenderlo per la terza volta a Dynamite, e per quasi tutti (tranne per lo Steel Cage contro Thunder Rosa) siamo tra i dieci e i tredici minuti di match. E se calcoliamo il periodo che va da quando ha vinto la cintura a quando l’ha persa, ovvero dal 30 maggio 2021 al 16 marzo 2022 (non compresi), ha combattuto in 20 match di cui sei a Dynamite, sette a Rampage, quattro tra pay-per-view e speciali nel weekend e tre nell’evento Jericho Cruise Triple Whammy. E volendo fare un’ulteriore scrematura differenziando match in singolo o in team, abbiamo dodici match in singolo e otto match in team. Da notare che le ci è voluto un mese preciso prima di tornare a combattere dopo la vittoria del titolo e prima di arrivare alla prima difesa titolata sono passate tre settimane. Dopodiché ci è voluto circa un altro mese per la seconda e poi stesso discorso per la terza; mentre tra la quarta e la quinta e la quinta e la sesta è passato circa un mese e mezzo. Due mesi invece tra la sesta e la settima e dieci giorni dalla settima all’ottava dove ha perso. Personalmente non ho odiato questo regno titolato, anzi, Britt Baker ha la personalità per portare la cintura alla vita, ma sicuramente la gestione è un pochino da rivedere se in futuro riuscirà a riprendersela.

C’è una soluzione?

Arriviamo alla resa dei conti, ovvero cosa serve alla divisione femminile dell’AEW per spiccare il volo e rimanere in aria? Semplice: una leggenda femminile che si occupi di produrre i match e i segmenti, secondo me.

Non finirò mai di dire quanto sia migliorata la divisione femminile WWE da quando c’è Molly Holly backstage. Mamma mia, un sogno. Il suo lavoro in collaborazione con persone come TJ Wilson ha creato della vera e propria magia e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Quando vedi un match o segmento femminile prodotto da uno di loro due o dai due insieme, lo sai, lo sai e basta, lo riconosci e lo ami. Ma posso citarvi tranquillamente anche la leggenda Gail Kim che ad IMPACT ha messo su una divisione che non ha nulla da invidiare alle altre, anzi.

Il fatto che una major di professional wrestling non riesca a capire che se dà una mano alle wrestler fornendo loro una buona base e permettendo loro di lavorare come dovrebbero aggiungendoci del proprio, creando un intreccio di collaborazioni, il prodotto non solo è migliore per i fans, ma porta anche le atlete ad essere maggiormente stimolate di settimana in settimana. Alla fine quello è un lavoro ma è anche una passione, perché non lo fai se non hai passione, che senso avrebbe rischiare di spaccarsi in due per niente? È questo che io dico, trovate una donna che abbia avuto la sua bella dose di esperienza, che sa cosa significhi essere una donna in questo business che, non lo nascondiamo, è dominato dagli uomini, e permettetele di aiutare queste ragazze e donne a fare qualcosa di davvero concreto. 

Per esempio, dato che l’ho nominata prima, perché non lasciare Serena Deeb, che a quanto pare sta già lavorando dietro le quinte anche come producer, a gestire interamente la divisione femminile? Poi nessuno vieta di affiancarle Kenny Omega o Dustin Rhodes, uomini che ci tengono e che hanno esperienza in generale, ma serve una donna, non c’è nulla da fare. Un uomo, per quanto ci provi, non potrà mai immedesimarsi e capire al 100% cos’ha passato una donna e di cosa ha bisogno una donna nel professional wrestling. 

E onestamente, dato l’annuncio della sua scadenza di contratto con la WWE, io un pensiero su Paige ce lo farei per questo ruolo, almeno finché non è pronta al 100% a tornare, eventualmente, a lottare. Anche lei può tranquillamente affiancare Serena dato che ha molta esperienza nella disciplina, esperienza guadagnata essenzialmente in due modi: per essere nata in una famiglia di wrestler che ha scritto e sta scrivendo la storia della disciplina formando tantissimi giovani wrestler che arrivano da tutto il mondo per allenarsi con loro, e per aver lavorato in WWE dove ha costruito un curriculum importante caratterizzato da momenti storici sul ring come lottatrice e manager.

Considerazioni finali

Ci tengo a dire, in conclusione, che questi discorsi che io ho fatto non sono in alcun modo un attacco all’AEW, anzi, sono parole che vogliono stimolare e che contengono una speranza che è quella di vedere delle donne che adoro avere successo, perché, se non volessi il loro bene, non avrebbe senso per me fare quello che faccio solo per criticare senza uno scopo e senza essere costruttiva. 

In questo anno insieme alla compagnia di Jacksonville (e vi assicuro che mi sono presa molto tempo prima di giudicare appositamente per conoscere meglio tutto) mi sono resa conto che il problema non sono i wrestler, non è il marchio All Elite Wrestling, non sono le guerre tra gli show, il problema, dal mio umile punto di vista, è la gestione di una persona che, forse neanche per colpa sua, non ha la giusta maturità per questo lavoro, è solo una persona più fortunata di altre che ha i soldi e una passione, e non c’è niente di male in questo, ma forse dovrebbe rendersi conto che non può fare tutto da solo, bensì dovrebbe affidarsi a persone del business capaci di far arrivare la sua compagnia ancora più in alto, perché il potenziale è sotto gli occhi di tutti.

Se qualcuno dovesse chiedermi: “Rachele, ma tu mi consiglieresti di guardare l’AEW?”, io semplicemente risponderei di sì, di darle una possibilità perché quella non si nega a niente e nessuno nella vita, o almeno non alle cose positive, perché comunque l’AEW è un prodotto speciale e unico, come tutti gli altri, quindi vale la pena provare quantomeno a seguire qualcosa perché magari capiamo che è la compagnia che più fa per noi. Certo, se mi viene posta quella domanda dal lato femminile magari posso aggiungere di non tenersi alla poltrona perché, come cantava qualcuno, it’s a long way to the top, ma ne vale comunque la pena. Alla fine dell’anno scorso, nel mio articolo sui miei momenti preferiti del 2021 nel wrestling femminile, ho anche inserito che sono grata all’AEW per avermi fatto conoscere nuove wrestler che amo (Kris Statlander sto parlando proprio di te), quindi dare anche solo una possibilità ad una compagnia di wrestling non può che essere un guadagno, o almeno sicuramente non ci si perde nulla.

La All Elite Wrestling mi ha anche permesso di connettermi con persone nuove, appassionati come me, e di capire che ci sono infinite possibilità per i wrestler che possono anche uscire dal contesto AEW e lottare in altre realtà con altri colleghi e creare questa bellissima rete, perché, anche se io di NJPW non mi intendo, sono felice quando leggo che i miei amici che nelle chat di gruppo sono esaltati per le collaborazioni, è questo lo spirito del professional wrestling. Per non parlare del fatto che è stimolante anche scoprire che ci sono tanti modi di fare wrestling ed è questo il bello di concedersi di conoscere altre compagnie. Non tutto è negativo, assolutamente, e sono anche fermamente convinta che le cose che non funzionano, prima o poi, troveranno il giusto equilibrio e funzioneranno, basta poco.

Detto questo mi auguro presto di vedere davvero le ragazze e le donne della AEW godere di un successo strabiliante perché se lo meritano e io sarò come sempre qui a sostenerle, nel bene e nel male. E se volete dirmi la vostra potete commentare qui sotto o farmelo sapere sui social, anche perché non è detto che abbiate la mia stessa opinione e mi piacerebbe leggere il vostro punto di vista.

Vi lascio con una frase detta da Trish Stratus“Penso che le persone si adagino troppo sugli allori nel fare quello che fanno. E io sono per le sfide e i cambiamenti.”

Si conclude qui anche questo articolo e io ringrazio tutti voi per averlo letto e tutte le fonti che mi hanno aiutata a recuperare il materiale audio, video e scritto, che mi è servito:

WWE Network

Cagematch

World Wrestling (traduzioni interviste)

Libro: “Ring Post Journal #1 – A 2020 Women’s Wrestling Year in Review”, Colby Applegate

Rivista: “Pro Wrestling Illustrated – Women’s 150”

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Donne Tra le Corde non detiene nessun diritto su i marchi, immagini e loghi riferiti alla All Elite Wrestling,  WWE inc o altre fonti citate in questo articolo. Credits a tutti i fotografi che hanno scattato le foto presenti nell’articolo.  L’articolo è stato scritto e curato da Rachele Gagliardi, fondatrice e blogger di Donne Tra Le Corde. Traduzioni di Rachele Gagliardi. Revisione di Irene Zordan.

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